esattamente il pensiero, nessuno ha potuto imprimere nella traduzione quella espressione di forza, o di sosvità, o di passione che abbonda nell'originale. Molti hano tradito Dante, ma finora nessuno l'ha tradotto; la lingua italiana, ha espressioni imitative che non si possono trasportare in altra lingua:
Mi prese del costui piacer si forte.
Stavvi Minosse orribilmente e ringhia.
Il rauco suon della tartarea tromba.
non si possono tradurre così facilmente.
- Al contrario, vediamo la lingua italiana alle prese coll'idioma più dolce, più espressivo, più sonoro e imitativo per eccellenza, il Greco: mettiamo Foscolo di fronte ad Omero; se questi non vince, quegli non perde.
- Vediamolo.
- Teti abbraccia la ginocchia di Giove e lo prega.
ad onorarle il figliol suo.
Che a breve giorno, misera, le nacque
... e Agamennon re della genti
Lo prende a vile e gli usurpò di forza
Il premio della guerra.
- Giove, è tocco dal fato di Achile, nato a breve giorno e accondiscende alla preghiera della madre.
- Omero, in tre versi esametri, esprime la omnipotenza del Nume, cui s'inchinano i fati, appena egli accenni col capo; e dice:
Ἦ καὶ κυανέῃσιν ἐπ᾽ ὀφρύσι νεῦσε Κρονίων·
ἀμβρόσιαι δ᾽ ἄρα χαῖται ἐπεῤῥώσαντο ἄνακτος
κρατὸς ἀπ᾽ ἀθανάτοιο· μέγαν δ᾽ ἐλέλιξεν Ὄλυμπον.
i quali versi — a volerli giuducare dalla sola pronunzia — hanno una espressione imitativa ammirabile, eccoli:
E, cai cyanesèsin ep' ophrysi neÿse Kronioon:
Ambrosiai d'ara chaitai eperroosanto anactos
Kratos ap' athanatoio, megan d'elelixen Olympon.
- Qui si rivela la eccellenza della lingua italiana: questi tre versi sono stati tradotti da Cunich, Alegre, Pope, Rochefort, Douglas, Dacier, Bitaubé, dalla Staël e da molti altri; nessuno colpí nel segno, nessuno tradusse a perfezzione la parola "eperroosanto"